martedì 11 ottobre 2011

Comunista così


Riassunto degli ultimi 28 mesi: mi sono sposata, ho perso un lavoro precario, sono rimasta incinta, ho trovato un altro lavoro precario, ho fatto un figlio, sono piombata in uno stato di catatonia angosciosa e felicità roboante (qualcuno chiama questo tipo di personalità "bipolare", ma i miei poli erano mille, mica due), ho preso una certificazione per insegnare italiano, ho trovato un lavoro meno precario, ho fatto le vacanze in Grecia, ho iniziato un lavoro meno precario, ho portato il Nano al nido.

Ora sono a casa in malattia: è la prima volta in vita mia e mi sento in colpa. Non siate sarcastici, non liquidatemi con sufficienza e cercate di capire, che difficile non è. Sono cresciuta con un padre comunista così, con due pugni, non uno. Alla Festa dell'Unità al Monte Stella potevo dare del tu agli adulti perché eravamo certi che fossero tutti compagni (e quelli che non lo erano e che votavano DC di nascosto ci davano un certo piacere perché comunque venivano al Valtellinese a mangiare e alle feste della DC c'era meno gente ). Al lunedì sera mio padre andava in sezione e tornava sempre tardissimo e arrabbiato, però ai compagni voleva bene anche se lo facevano arrabbiare. I compagni erano lavoratori come lui e tra lavoratori ci si vuole bene.

Ecco, sono rimasta un po' a quella visione della vita a squadre di calcio: noi buoni, loro cattivi. Solo che dopo tanti anni spesi negli enti pubblici con contratti co.co.co., a progetto e occasionali, i cattivi, ve lo dico, sono diventati i sindacati, i sindacalisti e gli statali. Lo so, alla fine il problema è mio, anche se potrei argomentare che certa gente lavora per soffocare ogni domanda di cambiamento culturale e di libertà.

Ma la triste verità è che mi sento morire all'idea di diventare come loro per comodità, di rinunciare a cercare di fare quello che potrei fare per farmi un'influenza a casa pagata. Non è colpa del sistema, è colpa mia. Quindi aspettando il medico fiscale, scrivo, dai.